In Francia, l’ USRE -Unité de Soins et de Recherche sur l’Esprit presso l’Ospedale Timone di Marsiglia ha cercato di utilizzare il Reiki come tecnica complementare nell’ambito l’assistenza spirituale che accompagna i pazienti del reparto di oncologia e cure palliative.
Ecco alcuni passaggi estratti dal Rapporto che l’USRE ha redatto nel 2007:
“Il lavoro si è sviluppato su due assi: una ricerca bibliografica da un lato e in parallelo la formazione di primo livello Reiki per un gruppo di persone all’interno di una sperimentazione clinica.
Per quanto riguarda la ricerca bibliografia, il riferimento è stato il database MEDLINE (Medical Literature Analysis and Retrieval System Online).
Da lì emerge che il Reiki fa parte delle terapie complementari nel quadro generale della “medicina complementare e alternativa” (CAM).
Questo campo è diventato così importante che all’interno del National Institute of Health (USA), è stato creato il National Center for CAM nel 1999. Il suo obiettivo è facilitare la valutazione di queste tecniche, fornire informazioni affidabili su di esse e promuovere la ricerca clinica in questo campo.
Se il NIH, vale a dire il governo degli Stati Uniti, investe in questo settore, è senza dubbio una prospettiva inevitabile.
Con una ricerca testuale sulla parola Reiki, troviamo 77 riferimenti: 27 dal 1994 al 2002 inclusi (9 anni), 50 per gli anni dal 2003 al 2007 (4 anni e mezzo), evidenziando quindi un netto aumento negli ultimi anni.
Nel primo periodo ci sono principalmente articoli generali, mentre nel secondo periodo si tratta di studi più mirati: Reiki per gli operatori sanitari, Reiki per i pazienti (principalmente in contesti oncologici ma anche nel campo della psiche, per l’epilessia, in chirurgia …).
La tecnica Reiki è valida. Su questo sembra che non ci siano dubbi. Ma se la ricerca è promettente, ad oggi suggerisce solo che funziona riducendo l’ansia, lo stress, portando rilassamento muscolare, diminuzione del dolore.
Nel rapporto ci si chiede “ma quali sono i benefici da attribuire al Reiki e quali quelli da attribuire al professionista o alla relazione tra il professionista e il paziente? Domanda difficile.
Per effettuare lo studio clinico rigoroso, randomizzato e in cieco, è stato necessario disporre di un numero sufficiente di persone in grado di realizzare trattamenti Reiki per un tempo sufficientemente lungo, a un numero sufficiente di pazienti e con lo stesso metodo.
L’introduzione del Reiki è stata facilitata dal fatto che tra i membri del team dell’Unità esisteva già un medico Master Reiki.
A tal fine, è stato offerto un corso Reiki di primo livello a diversi operatori sanitari.
Insieme alla difficoltà di costituire questo gruppo di professionisti, è sembrato che la rilevanza di uno studio clinico randomizzato per parlare del non sia così ovvia.
Lo staff ha quindi sospeso la sperimentazione terapeutica per darsi il tempo di riflettere ulteriormente.
Come ottenere informazioni affidabili che possono essere diffuse alla professione medica in una forma che risulti accettabile?
Rispondere a queste domande è un prerequisito importante affinchè un istituto di cura possa prendere ufficialmente in considerazione la possibilità di far praticare in ospedale i professionisti del Reiki riconosciuti, perché in Francia sussiste una certa preoccupazione rispetto al fatto che le sette si possano infiltrare nei contesti della salute.
È molto interessante notare che, nonostante l’abbondanza di sette negli Stati Uniti, le terapie complementari sono praticate sempre più negli ospedali. La stessa situazione in Gran Bretagna e in nessun caso, da nessuna parte, in nessun rapporto ufficiale (o ufficioso), in nessun paese si parla esplicitamente del pericolo delle sette.
Interessante il commento di un medico anestesista (2011) che ha partecipato a molte riunioni dell’USRE, Christine Bouffier (fonte):
“Sono un medico e un’insegnante di Reiki. L’anno scorso ho partecipato regolarmente alle riunioni dell’USRE. Il progetto sul Reiki non è proseguito perché non è stato possibile coinvolgere l’istituzione pubblica in un processo di apertura verso questa tecnica che da alcune autorità locali è collegata alle sette. (…)
L’ospedale pubblico è una struttura rassicurante perché l’istituzione offre una garanzia di protezione individuale e deploro il fatto che alcuni praticanti di Reiki abbiano portato a una cattiva opinione su ciò che sappiamo essere “qualcosa di buono” per coloro che lo ricevono, anche se nulla è scientificamente provato. Essere attento, presente all’altro, rassicurante e benevolo nell’aiutare l’autoguarigione, non può far male. Sfortunatamente, alcuni abusi hanno provocato disastri, in particolare interruzioni tempestive del trattamento. (…)
Ho scelto di fare il medico ospedaliero e devo impegnarmi a rispettare la struttura che mi dà lavoro.
Non posso quindi in alcun caso prendere l’iniziativa di ignorare una decisione contro la quale non devo presentare alcun argomento, dopo un anno di tentativi per convincere quale contributo può dare il Reiki al benessere delle persone che soffrono. Mi è stato risposto che persone mal intenzionate potevano fare affidamento sull’ospedale per stabilire le loro pratiche non etiche e potenzialmente pericolose.
Non posso entrare nella minima controversia e non ho intenzione di farlo. (…) Il futuro ci dirà quale posto avrà un supporto non convenzionale alle terapie in base alle richieste stesse dei pazienti, ai loro bisogni e alle nostre possibilità.
Sono certamente un Reiki Master e un giorno, di fronte ai miei Maestri e ai miei colleghi, ho fatto il giuramento di Ippocrate. Quello che sono oggi lo devo ad entrambi. Devo sforzarmi di farli coesistere, con pazienza e perseveranza ma soprattutto con la convinzione che questi due strumenti non sono opposti ma, al contrario, complementari“
In realtà il Reiki si è diffuso come tecnica complementare in moltissimi ospedali in Italia e nel mondo grazie anche agli ormai numerosi studi scientifici che ne attestano i benefici per pazienti, caregivers ed operatori sanitari.
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