Una ricerca ha esplorato come la relazione medico/paziente influenza il decorso della malattia arrivando a modificare il funzionamento delle reti neuronali. Questo studio offre evidenze neuroscientifiche e interessanti spunti anche in riferimento al “prendersi cura” dell’altro nei trattamenti Reiki.
Stiamo parlando della ricerca F.I.O.R.E. (Functional Imaging Of Reinforcement Effects), realizzata dalla Fondazione Onlus Giancarlo Quarta di Milano con l’Università di Udine attraverso l’utilizzo di una metodica di neuroimaging basata sulla risonanza magnetica funzionale.
Chiunque si rivolga al medico, oltre a desiderare di essere trattato secondo principi di provata efficacia, ha bisogno di comprensione emotiva, attenzione e riconoscimento della propria individualità, elementi che contribuiscono al successo della cura. Ma questo è un modello ideale che non sempre si concretizza nelle relazioni reali tra medici e pazienti, strette tra tecnicismi e tempi di visita soffocati.
«È per questo che all’interno delle ricerche realizzate dalla Fondazione Quarta è stato sviluppato il Modello relazionale Ippocrates» dice Andrea Di Ciano, coordinatore ricerche scientifiche della Fondazione. «Un sistema che individua cinque aree di bisogni relazionali che dovrebbero sempre essere garantiti all’interno della relazione terapeutica. Si tratta del bisogno da parte del paziente di comprendere razionalmente quanto sta accadendo; di farsi un’idea del futuro che lo attende; di esprimere adeguatamente le proprie emozioni; di ricevere le necessarie attenzioni, e di arrivare, infine, a prendere le decisioni che la condizione di malattia comporta».
La ricerca F.I.O.R.E., il cui protocollo è stato sviluppato con la partecipazione di Lucia Giudetti Quarta, presidente della Fondazione, ha coinvolto 30 volontari sani. Mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale, sono state mostrate loro vignette che rappresentavano situazioni definite di influenzamento e di valorizzazione e altre di tipo neutro. Le prime sono situazioni di relazione interpersonale in cui emergono la disponibilità a fornire un aiuto concreto, motivare e dare speranza; le seconde sono situazioni nelle quali vengono espressi apprezzamento per le azioni svolte e l’adesione razionale ed emotiva.
Mentre i soggetti sperimentavano questi stati d’animo, centrali nella relazione terapeutica, venivano registrate le corrispondenti attivazioni di varie reti neuronali.
È così che si è giunti a individuare le positive modificazioni che possono verificarsi nel funzionamento cerebrale anche di un paziente in analoghe circostanze.
Guarda il VIDEO di approfondimento della Fondazione Giancarlo Quarta Onlus.
Quali spunti per la relazione operatore Reiki e ricevente/cliente?
Questo discorso non vale solo per i medici: vale per tutte le relazioni di cura, anche quelle che si costituiscono intorno ai trattamenti Reiki. Sviluppare competenze rispetto alla “cura della relazione” permette dunque al Reiki di essere più efficace. O meglio: il Reiki fa quello che deve fare, ma la cosa che colpisce di questa ricerca è che anche la qualità della relazione ha un ruolo attivo nel processo di cura. Se gestita bene lo potenzia, se gestita male lo contrasta (riducendo o addirittura annullando il benessere generato dal Reiki).
L’impegno della Scuola ilReiki sul tema della relazione
La Scuola IlReiki ha deciso di valorizzare la “cura della relazione” attraverso un percorso formativo ad hoc, convinti che si possa e si debba apprendere a costruire e ad utilizzare efficacemente la relazione con l’altro.
Il corso “Curare… la relazione” è stato ideato proprio perché è ormai evidente a tutti che la qualità della relazione influisce sui processi di cura.